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RACCONTI A TUTTA BIRRA 1

I“Racconti a tutta birra” sono stati scritti, in occasione dell’Oktoberfest, dagli studenti del corso di Narrativa di 1 livello di StudioStorie: un manipolo di valorosi scrittori, ispirati dalle fragranze delle migliori bevande al luppolo, rendono omaggio alla birra con un racconto ciascuno.

I racconti, uno al giorno, sono pubblicati su www.oktoberfestgenova.com, su www.studiostorie.com e sulle rispettive pagine faceboook.

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«A PARLAR DI FEDE, CONIGLI E ROSSE», DI ANTONIO LIDONNICI

– Oh, Dario, sveglia! Dai, Dario porca miseria, alzati che tra due ore ti sposi!

È il giorno più bello della mia vita, e inizia con un mal di testa fotonico. Perfetto. Qualcuno urla in un megafono che il battello partirà tra dieci minuti e invita i signori viaggiatori ad avvicinarsi alla banchina.

C’è casino intorno, mi tiro su a fatica e… chi cazzo ha spostato l’Acquario di Genova in camera mia? Il Siga è in piedi davanti a me.

– Tranquillo Dario, tutto sotto controllo. Carboncino è andato a prendere il tuo abito a casa e il Tanica tra dieci minuti è qui con la macchina. Vedrai che in un attimo siamo su alla Guardia. Gli anelli li ho messi prima di uscire ieri sera nel giubbotto. Vedi? Tutto sotto controllo. Sono il tuo testimone di nozze, puoi fidarti!

– Se arrivo in ritardo sarai testimone di un omicidio, il tuo! Mi spieghi che cazzo è successo per favore?

– Ma niente!

– Claudio, è il giorno del mio matrimonio, e io mi sono svegliato su una panchina davanti all’Acquario con un concerto di tamburi in testa… dici che è niente?

La sgommata del Tanica che sbuca fuori dal sottopasso di Caricamento quasi lancia via Carboncino che si sbraccia per farsi notare. Ci catapultiamo in auto. Mentre mi vesto, incastrato tra i sedili posteriori, incalzo il Siga.

– Allora?

– E allora, cosa vuoi che ti dica? Ci siamo spaccati di brutto! E che botta la Dragon, ragazzi! Oh, pure Carboncino l’ha bevuta, finita tutta, eh… Poi ha iniziato a litigare con un segnale di divieto di sosta perché secondo lui lo prendeva per il culo… Però l’ha finita, eh… Che grande che è stato. Guarda, ho perso solo io, ma vabbe’, un giubbotto lo recupero… Cazzo… Il giubbotto… gli anelli!

La faccia del Siga diventa dello stesso colore della ghiaia che schizza via sotto le gomme dell’Audi all’ingresso del Santuario.

“La roulette rossa”: così Claudio, “il Siga”, ha presentato la serata del mio addio al celibato sul gruppo di whatsapp. Eravamo in giro da quasi quattro ore alla ricerca del “colpo definitivo”, e io iniziavo a rimpiangere di aver rifiutato la proposta dei miei colleghi di lavoro che prevedeva l’evergreen del ristorante brasiliano con specialità culi marmorei seguito da un dessert a base di spogliarelli e “Oh, quello che succede stasera resta tra noi, chiaro?”.

– Dai che domani ti sposi! E tirati su quel costume! Hai mai visto un coniglio rosa andare in giro senza orecchie? – mi urla in mezzo a Piazza Dante Sandrone, detto “il Tanica” – Oh, e ringraziami, che come acchiappi stasera con quel costume… guarda quelle due come ti puntano!

Prende pure per il culo, lo stronzo.

– Proviamo quel nuovo locale che hanno aperto giù alla Darsena, quello con le birre d’abbazia! Vuoi che lì non troviamo la nostra? – suggerisce Giulio, “Carboncino”, esponente della fusione greco-siculo-nordafricana.

Attraversiamo Piazza De Ferrari, scendiamo da San Lorenzo e siamo a Caricamento: un coniglio rosa di un metro e ottantadue e tre Peter Pan di quarant’ anni l’uno a seguire, con cappelli verdi alla Saint Patrick’s Day in testa: impossibile passare inosservati in una situazione normale; se poi è sabato sera la figura di merda è garantita. Sto morendo di caldo sotto questo casco da coniglio, ma in questo momento è la mia salvezza.

– Allora ragazzi, avete scelto?

– Guarda, come avrai capito siamo qui per dare l’addio al nostro amico, che da domani ha deciso di diventare una persona seria. – esordisce il Siga, e prosegue – La sua futura moglie ha i capelli rossi. Bellissima donna eh, ma noi abbiamo deciso di dimostrargli che esiste una rossa migliore di quella che porterà all’altare. Non abbiamo ancora trovato quella giusta, ma sono sicuro che tu puoi stupirci. Che cosa proponi?

La cameriera guarda la carta delle birre e poi osserva me, sudaticcio, ma almeno libero da quel dannato casco. Si china appena sul tavolo e offre ai presenti la dimostrazione che quello sotto la camicetta non era proprio cotone per riempire.

– Io vi proporrei questa – e indica una riga sulla carta – Dragon Pale Ale, doppio malto rossa, dieci gradi.

– Eddai, abbiamo già provato la Kilkenny, ne fa nove… – prova a protestare Carboncino, ma la cameriera lo interrompe.

– Nel boccale da un litro. A testa. E non si può lasciare neanche una goccia.

A questa dichiarazione di guerra la mascella del Siga precipita sul tavolo, mentre gli occhi del Tanica si illuminano tipo luci di Natale. Io, che domani mi sposo, cerco di mantenere un contegno.

– Dai raga, non scherziamo…

Non faccio in tempo a proseguire, che il Siga fa un cenno con la testa alla ragazza indicando con la mano il numero quattro.

Dopo qualche minuto quattro calici di birra a forma di clessidra, sorretti da altrettanti sostegni in legno, sono davanti ai nostri occhi.

– Ecco a voi ragazzi. Come vi dicevo, non si può lasciare neanche il fondo. È la regola del locale, che deriva da un’antica tradizione belga. Vedete il cestino di vimini sopra le vostre teste? Ecco, chi ordina la pinta lascia in pegno qualcosa di suo, che viene messo nel cestino e tirato su dalla carrucola fino al soffitto. A fine serata, quando verrò a ritirare le pinte, se saranno vuote tireremo giù il cestino e riprenderete le vostre cose, altrimenti rimarranno lì. Scegliete voi: una scarpa, l’orologio, un giubbotto…

Io vorrei dare in pegno il mio costume da coniglio, ma ovviamente gli altri me lo vietano, e così consegno una scarpa; il Tanica l’orologio e Carboncino, unico astemio del gruppo, il suo adorato bracciale d’argento.

– Non potevamo andare allo strip club come fanno tutti? – si lamenta quando vede il suo ammennicolo salire verso il soffitto insieme alle nostre cose.

– Ehi, ehi! Fermi! Fermi! Fermiii! – la voce del Siga, che torna di corsa dal bagno, blocca tutti, compreso il Tanica che già aveva il calice a mezz’aria.

– Cazzo, raga, vi stavate dimenticando di me! – ci apostrofa mentre, di fretta, si sfila il giubbotto e lo lancia nel cestino.

Al “Prosit!” del Tanica alziamo i nostri calici e, per un secondo, il mio sguardo incrocia i nostri oggetti, penzolanti a qualche metro sopra di noi: c’è un piccolo rigonfiamento nella tasca del giubbotto del Siga.

– Quel coglione ha dimenticato di togliere le sigarette… – penso – Ma non aveva smesso di fumare?