I“Racconti a tutta birra” sono stati scritti, in occasione dell’Oktoberfest, dagli studenti del corso di Narrativa di 1 livello di StudioStorie: un manipolo di valorosi scrittori, ispirati dalle fragranze delle migliori bevande al luppolo, rendono omaggio alla birra con un racconto ciascuno.
I racconti, uno al giorno, sono pubblicati su www.oktoberfestgenova.com, su www.studiostorie.com e sulle rispettive pagine faceboook.
«L’abate maledetto», di Felice Romagnoli
Ecco la mia sposa di oggi. Ancora una contadina, pesante e un po’ sfiorita, ma soda e vigorosa. Sanguigna. Le ombre della sera l’hanno colta nei campi; la stagione avanzata porta presto il buio. La seguo per i viottoli, il mio passo è silenzioso. Sorpasso un muro e ne anticipo il cammino: è già tra le mie braccia.
Non grida: solo un lamento fugace, un breve terrore, ed eccola già lieta, felice di essere scelta. Il mio morso sul suo collo fa godere lei quasi quanto me: mia amante, ora e per sempre. Muore ed è non-morta.
La porto con me e le assegno un posto nella cripta. La nostra stirpe cresce, siamo sempre di più, sempre più potenti.
Si sparge tra noi la voce che il veggente abbia avuto una visione. Giraut è speciale: ustionato secoli fa dall’acqua benedetta, dicono sappia viaggiare nel tempo. Non siamo usi riunirci spesso, ma ci troviamo ora in tanti al suo cospetto, per sentirne il presagio.
– E’ nato un uomo che causerà l’estinzione della nostra specie.
Si levano voci, urla, ghigni contro il profeta: questa volta è in errore! Impossibile che uomini possano tanto! Qualcuno di noi può essere distrutto se ci fendono il cuore o ci espongono al sole, ma se un giorno la stirpe vampira si estinguerà, non potrà che essere a opera delle nostre stesse azioni! Giraut fa un nome.
– Si chiama Irminone.
Passano molti anni, per noi sempre uguali. Parigi cresce, tanti di noi la infestano, ma il mio piccolo borgo di Saint Germain des Prés è quanto a me basta; non temo la presenza della grande abbazia, mi tengo lontano dall’ombra delle croci.
Giraut è stato a lungo reietto: solo, nei boschi, nutrendosi del sangue di animali selvatici. Poi qualcuno ha ripreso a frequentarlo, è tornato nei dintorni del villaggio, ha ritrovato la stima di molti.
Ha ripreso ad ammonirci.
– Irminone ormai è abate. Il tempo sta per compiersi, bisogna fare presto!
A fatica, con pazienza, organizza il manipolo di quanti credono in lui. Preparano un assalto all’abbazia, intendono uccidere il priore. Una follia, sarà una strage.
Il venerdì stabilito, a mezzanotte, i vampiri si danno convegno e si avviano. Mandano avanti schiavi: villani infettati, ma non uccisi, divenuti nostri servi. Questi, con pochi mezzi, morendo come mosche sotto le pietre scagliate dai monaci, riescono a sfondare un portone. In alto, stormi di pipistrelli invadono il cielo, ma ogni edificio reca l’insegna del crocifisso che li tiene a distanza.
Molti schiavi penetrano tra le mura, ma i religiosi espongono contro di loro l’ostia consacrata, arma invincibile. Ora, dalle fogne, provano i ratti: invadono alcune delle stanze più interne, ma soffocano tra i fumi dell’incenso.
Nessuno tra i superstiti arretra: è nella nostra indole vincere o morire, ed è ancora una volta Giraut a farsi sentire, a tuonare con ruggito di lupo.
– Basta! È tutto inutile! La mia mente vede che l’abate ha già dato compimento all’opera sua! Non c’è più rimedio!
Ben pochi lo ascoltano. Da lontano assisto alla disfatta.
La creazione di Irminone si diffonde ovunque, dilaga molto più del nome aborrito del Santo. L’abate ha inventato la birra al luppolo, inebriante, appagante, irresistibile: così ha inizio la nostra inarrestabile rovina. Non più sangue bevono i fratelli, ma birra. Non resistono all’aroma e al sapore perfetti, e di null’altro sentono il bisogno. Ora siamo facile preda dei cacciatori di vampiri e il contagio non più si propaga, non più ci moltiplichiamo. Siamo sempre meno e tra poco, nessuno.