I“Racconti a tutta birra” sono stati scritti, in occasione dell’Oktoberfest, dagli studenti del corso di Narrativa di 1 livello di StudioStorie: un manipolo di valorosi scrittori, ispirati dalle fragranze delle migliori bevande al luppolo, rendono omaggio alla birra con un racconto ciascuno.
I racconti, uno al giorno, sono pubblicati su www.oktoberfestgenova.com, su www.studiostorie.com e sulle rispettive pagine faceboook.
«Sensazioni», di Anna Gettani
Sono solo al mondo. Mia moglie se n’è andata da cinque mesi, gli altri famigliari vivono lontani e gli amici, si sa, oggi qua e domani là. Il mio stato d’animo appare scuro e tende all’amaro, ma chi mi osserva bene capisce che non sono così: il mio punto di forza è la delicatezza. La mia vita si svolge per la maggior parte nel bazar, un piccolo locale che profuma di pepe, zenzero, cannella e che, attraverso gli occhi degli altri, so che brilla di un arcobaleno aromatico. Barattoli di sale rosa, curry sfumato di arancio, zafferano e semi blu di papavero; è lì che trasformo l’amarezza in qualcosa dal sapore seducente e ingannevole. L’«Oltre lo sguardo» è un locale alla mano, allegro, accattivante e ricco di prodotti di qualità che arrivano da dove provengo anch’io: il Marocco. Esporre merce dai colori, dai sapori, dai suoni tipici della mia terra mi ha dato l’occasione di far vedere attraverso gli occhi della mente.
Sono nato settant’anni fa a Casablanca, ma è in Italia che ho studiato, lavorato e sposato Livia. Una volta in pensione abbiamo avviato il negozio, desiderosi di portare il Marocco a chi non lo può visitare. I clienti, quando varcano l’uscio, si ritrovano per magia in un luogo senza tempo, in cui sono accolti con musica in sottofondo e racconti sulla provenienza della merce: le mie parole scorrono; l’inizio è tostato e terroso, seguito da una parte centrale fruttata per poi finire con note di resina appena bruciate.
Livia non è più al mio fianco e stavo cercando un modo per averla vicina, affinché la sua presenza non svanisse del tutto. L’idea mi venne dopo l’incontro con la bionda spumeggiante, nel pub sotto casa. Abito a pochi isolati dal negozio e mi piace camminare, ascoltare il silenzio, annusare l’aria e udire l’incedere del mio passo accompagnato dal tac-tac del bastone. Mentre cammino, le parole di Claudia, l’istruttrice di orientamento e mobilità di un tempo ormai lontano, mi risuonano nelle orecchie.
– Procedi piano, fai un arco ampio e lascia scivolare il bastone sul terreno. Cerca di percepire gli eventuali ostacoli, stai attento anche ai suoni e agli odori, più informazioni ricevi, più la vita ti verrà incontro e potrai assaporare anche quello che non vedi.
Il ricordo di queste parole mi ha aiutato a superare l’assenza del braccio e delle spiegazioni di Livia, ai quali mi affidavo per affrontare il buio.
Anche il pub mi ha dato una mano a superare la solitudine: la sosta prima di salire a casa, una birretta e due chiacchiere con il barista erano diventati il miglior sonnifero.
Una sera del mese scorso percepii, all’altezza del locale, un aroma di agrumi e litchi accompagnato da una voce cristallina.
– Ciao. Hai voglia di compagnia?
Non c’era bisogno della vista per capire chi fosse e perché si trovasse lì.
– Sono troppo vecchio, – sorrisi – troppo stanco e ancora troppo innamorato di mia moglie.
– Non ti sto proponendo di sposarmi, ma solo un momento di conforto.
Entrai nel locale e la signorina mi seguì fino al bancone.
– Se mi offri una bionda puoi toccarmi le mani, per una rossa ti lascio accarezzarmi il viso e per quella scura ti tocco io.
Le sue parole dirette, semplici e genuine mi diedero l’idea: l’antico sogno di lavorare l’argilla e il nuovo di avere Livia ancora con me si potevano sposare.
A discapito dell’età il sogno era ancora qualcosa che mi concedevo: senza alcuna ritrosia mi lasciai trasportare dai miei tre sensi.
– Posso farle una proposta?
– Certo, sono pronta.
– Forse non lo è per quello che le chiederò.
– Basta che paghi.
– Venga con me. Intanto le spiego.
– Sono cento euro l’ora. Ti sta bene?
– I soldi non sono un problema.
La feci salire nell’appartamento, le spiegai e non ebbe problemi ad accettare. Da quell’incontro, per tre mesi circa, ogni notte le chiesi di assumere posizioni diverse. L’importante era che restasse immobile, almeno per il tempo che impiegavo a toccarla, a percepire la pelle, i muscoli, le pieghe, le rotondità. Poi plasmavo l’argilla mentre lei, guardando la fotografia di Livia, guidava le mie mani con precise indicazioni.
Non le ho mai chiesto come si chiamasse; da quando le avevo toccato i capelli di seta, per me era la bionda spumeggiante del pub sotto casa. Le sarò sempre grato per l’effetto benefico e la gioia che mi ha trasmesso.
Livia è tornata protagonista nel bazar: una splendida scultura tattile. Le persone entrano e possono sperimentare: non solo l’ascolto dei racconti e gli odori delle spezie, ma anche il tocco della figura femminile a grandezza naturale. I commenti sono tanti e diversi, ma quello che più mi ha colpito è questo: «La percezione tattile mi ha fatto trovare una sensazione di equilibrio e armonia, le dita sono scivolate sulla materia proprio come la birra mi scivola in gola e mi permette di avvertire, prima che siano svaniti, tutti i sapori, il gusto e il corpo».