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RACCONTI A TUTTA BIRRA 10

I“Racconti a tutta birra” sono stati scritti, in occasione dell’Oktoberfest, dagli studenti del corso di Narrativa di 1 livello di StudioStorie: un manipolo di valorosi scrittori, ispirati dalle fragranze delle migliori bevande al luppolo, rendono omaggio alla birra con un racconto ciascuno.

I racconti, uno al giorno, sono pubblicati su www.oktoberfestgenova.com, su www.studiostorie.com e sulle rispettive pagine faceboook.

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«Annibale», di Cristina Migone

Ernesto li aveva convinti tutti. Con Giovanni e Salvatore era stato facile, mentre Faustino si era mostrato contrario e, con lui, era stato necessario usare la forza: quando, quella notte, si dettero appuntamento sotto la statua equestre del piccolo paese calabro, nessuno di loro prestò attenzione al segno viola che Faustino sfoggiava sotto l’occhio sinistro.

Ernesto si mise al volante e partirono in direzione di Monaco. Volevano partecipare all’Oktoberfest, esserne i protagonisti e strafarsi di birra. Quattro ragazzi appena maggiorenni con la voglia di combinare disastri, disubbidire, affrontare il mondo da soli. La Panda rossa l’avevano rubata al papà di Salvatore: con lei avrebbero superato le Alpi e vissuto la loro avventura. I soldi, guadagnati grazie a lavoretti di fortuna, avrebbero permesso ai giovani di godersi due settimane fiere ed esaltanti e soprattutto, una volta rientrati, di far schiattare d’invidia i loro compaesani.

Nessuno possedeva una cartina, né tanto meno un navigatore: solo l’intuizione di dover risalire lo stivale, oltrepassare un valico e, da lì, raggiungere Monaco in tempo per l’inaugurazione.

La prima tappa li vide esausti: si sistemarono in una pensione nei pressi di Castellabate e, con Ernesto in testa, andarono in cerca di un localino in cui sentirsi uomini. L’osteria portava l’insegna “Da Carmelo”. Piacque ai quattro, che entrarono baldanzosi e scoprirono con stupore che Carmelo non solo non era un uomo, ma una splendida ostessa che da subito adocchiò, con fare civettuolo, Giovanni, il bello del gruppo. Il ragazzo, dopo tre birre, abbandonò gli amici e si lasciò trasportare dalla locandiera nella cameretta al piano di sopra. Faustino, incitato da Ernesto, continuò a bere finche perse conoscenza e, color verde mela, dovette essere condotto di volata al più vicino ospedale. Il medico, dopo la lavanda gastrica, gli prescrisse riposo assoluto e astinenza dal bere.

– Ma come? – farfugliò Ernesto – Dobbiamo superare le Alpi!

– Ehi, Annibale. – lo apostrofò il medico – Il vostro amico da qui non esce almeno per un paio di giorni.

Rimasti in tre, convinti da Faustino a continuare senza di lui dopo aver ripescato Giovanni dal letto della Carmela, ripresero la risalita. Nei pressi di Roma l’auto esalò fumo grigio dal motore, diede qualche colpo simile a tosse e fece capire che, da lì, non si sarebbe più mossa. I tre, per nulla preoccupati, l’abbandonarono lungo un marciapiede e, raccolte le sacche dal bagagliaio, affittarono una camera in un alberghetto vicino alla stazione. Quella sera fu Salvatore a prendere in mano la situazione: li convinse a entrare in un night club dall’insegna esplicita, nel quale tre fanciulle, vestite di soli slip, andarono loro incontro. Giovanni, ringalluzzito dalla sera precedente, si mostrò il più esperto e incitò gli amici. Questi, dopo aver bevuto per farsi coraggio, lo imitarono per cercare, con poca convinzione, di darsi un tono. Quel che accadde quella notte non fu mai chiaro fino in fondo a nessuno dei tre. Qualche ricordo a sprazzi, annebbiato dalla troppa birra, vide Ernesto brandire un frustino, una bionda mordere una chiappa di Salvatore e Giovanni recitare versi sparsi di Omero, mentre una mora gli legava polsi e caviglie.

Si domandarono spesso, negli anni, in che modo avessero fatto ritorno in albergo il mattino seguente, come poi avessero raggiunto la stazione e si fossero in seguito addormentati sul treno; ma, soprattutto, chi tra loro avesse fatto il biglietto.

Ernesto fu il primo a svegliarsi. Aprì gli occhi, ma subito non capì: il rumore gli riempiva il cervello e un piede di Salvatore lo spazio visivo. Lo scosse. I due cercarono Giovanni, che videro disteso per terra a fianco a loro. Provarono ad alzarsi e traballarono. Salvatore sgranò gli occhi.

– Siamo su un treno… – disse.

Il cellulare di Giovanni squillò.

– Dove cazzo siete? – era Faustino, voce fiera – È da un’ora che giro per Monaco! Sono scappato dall’ospedale! – ghignò.

Il treno rallentò, in tempo per far leggere il nome della stazione. I tre si guardarono: Principato di Monaco.

– Coraggio, – sospirò Ernesto – una birra l’avranno anche qui.